27.2.13

Le Revelateur

Philippe Garrel
Francia, 1968
62 minuti

Un ispiratissimo Garrel, travolto dalla recentissima ondata rivoluzionaria del Maggio '68, alla ricerca di nuovi percorsi sperimentali, inaugura il suo periodo migliore con questo terzo e folgorante lungometraggio, a detta di molti (e anche del sottoscritto), tra cui Amos Vogel in Film as a Subversive Art, il suo capolavoro dell'epoca. Girato in Baviera, senza sonoro e in un contrastatissimo bianco e nero, Le Revelateur evoca il passato del cinema muto e lo rielabora all'interno delle nuove forme d'avanguardia contemporanea.

Opera tanto affascinante, quanto ambigua e complessa nella sua analisi introspettiva; diciamo che la si potrebbe definire come un silenzioso psicodramma onirico incentrato sulle origini della famiglia; il primo, di un tema caro a Garrel e su cui ritornerà successivamente, con Les Baisers de Secours e La Cicatrice Interiore. Sullo sfondo della Foresta Nera, inquietantemente illuminata dalle abbaglianti luci del set (tipiche dello stile garreliano del periodo, vedi La Lit de la Vierge), parla innanzitutto il linguaggio dei corpi, rappresentati da una coppia in chiara crisi coniugale: una madre (l'affascinante Bernadette Lafont), un padre (Laurent Terzieff) e un bambino di cinque anni (Stanislas Robiolles) che li osserva, li segue, si frappone tra loro cercando di comprendere il mistero della propria nascita. Stanislas è rivelatore onirico del lontano ricordo di una separazione, o addirittura di una perdita, quella dei genitori. Osservando attentamente l'evoluzione delle varie sequenze, si può suddividere la storia in tre fasi:
1) la nascita; la bellissima scena del cammino di Stanislas in direzione della madre, attraverso il tunnel, chiaro simbolo del ventre materno con la venuta alla luce (l'abbraccio che si conclude con l'abbagliante illuminazione).
2) La crisi; la "rappresentazione" teatrale a cui il bambino assiste, mentre i genitori litigano puntando il dito verso di lui, pone l'idea che sia lui, la causa della crisi coniugale. Questa idea acquisisce maggior valore con la scena successiva girata in cucina, o come in quella in cui il bambino si rifugia nell'armadio.
3) L'abbandono o la perdita; da metà film circa inizia una lunga sequenza onirica in cui si vede il bambino che dorme, e che si protrae fino alla fine, intervallata solamente da brevi spezzoni di ritorno al reale. Due sono le scene significative dell'idea di un abbandono da parte della coppia: il bambino all'interno di un vagone (un autobus?) mentre la madre lo saluta dal finestrino, e quella in cui si rinchiude all'interno di una cassa, di fronte al padre. A meglio rappresentare invece l'ipotesi di una perdita, c'è la scena del "viaggio" con una stupenda carrellata circolare a 360 gradi che riprende Stanislas mentre viene rincorso dai genitori, e quella in cui lo si vede camminare lungo una strada, dove sul bordo del ciglio appaiono i loro corpi riversi a terra. Tutta questa fase conclusiva (fino alll'arrivo del bambino alla spiaggia), rappresenta l'evocazione della memoria attraverso il sogno. Gli echi recenti della contestazione sessantottina, rincorrono i protagonisti, anche nella lunga sequenza della "fuga" attraverso il campo recintato con il filo spinato, e riportano alla mente il finale di uno degli ultimi e migliori film del regista francese, Les Amants Reguliers (2005). A dimostrazione del fatto che l'esperienza vissuta direttamente, rappresenta ancora oggi, una valvola di sfogo per la sua personalissima cinematografia.

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