19.11.15

Thou Wast Mild and Lovely

Josephine Decker
USA, 2014
78 minuti

La sensuale Sarah e il rude Jeremiah: figlia e padre (padrone/amante). Un microcosmo familiare isolato e cinto nel fertile suolo dell'America rurale più profonda, quella del Midwest, nido di segreti ed incesti; pulsioni ancestrali liberate lontano dallo sguardo austero della società.
Ma non da quello di Akin (interpretato da Joe Swanberg, nome di punta del cinema mumblecore) il nuovo aiutante stagionale (uno dei tanti capitati in quelle terre e, probabilmente, passati tra le braccia di Sarah); in fuga da un matrimonio sicuramente in crisi e che cerca di mantenere segreto, poichè immediatamente rapito dal carnale desiderio per quella seducente fanciulla. Ninfa selvatica dall'erotismo sanguigno che idealizza l'amore di uno sconosciuto, e con la quale avvia un rituale fatto di sottili giochi ed osservanze, di amplessi consumati tra il fango e la rugiada; il sangue di una rana e gli umori del corpo. Magari, sotto l'occhio spettatore di un bovino che finirà poi per fuggire da quell'ambiente bucolico che funge da culla sensoriale per l'erompere degli impulsi e, sul quale, la cinepresa finirà per incarnarsi, attraverso una soggettiva frenetica e destabilizzante. Idillio possibile, almeno finchè un giorno non arriva l'ignara moglie, non solo ad incrinare, ma proprio a sovvertire (con afasico stupore) violentemente i ruoli in quel peccaminoso equilibrio a suo modo stabilito...


Dopo il sorprendente Butter on the Latch, Josephine Decker si riconferma, con grande entusiasmo del sottoscritto, come una delle autrici indie statunitensi più interessanti e visionarie, firmando quello che, a modesta opinione, rappresenta ad oggi la summa del suo percorso formativo; il suo capolavoro. Come nell'opera precedente, anche Thou Wast Mild and Lovely, stilisticamente si riavvale di una regia convulsa ed eccitante composta dalla mobilità di una camera a mano alla continua ricerca del fuoco/fuori-fuoco. Macro-dettagli ed estremizzazioni della profondità di campo, squarci tra l'onirico e il poetico (il sogno ad occhi aperti di Sarah, tra illusione afrodisiaca e visione surrealista) nonchè, specificatamente nel caso, una gradita proclività a (re)intessere in qualmodo le remote fila weird di certo cinema di genere (exploitation, rural-horror) di cosiddetto "basso mercato" proveniente dai Settanta, per forgiarlo in conformità al suo personalissimo stile ed infondergli, con classe, rinnovata linfa strabordante di selvaggia poetica. Inclinazione della quale sì, prendiamo inequivocabilmente atto nella svolta terminale (con tanto di scontro tra vittima e "falso"-carnefice, in stile Last House on the Left - L'ultima casa a sinistra) ma che a pensiero ultimato, effettivamente già quell'incipt burrascoso lasciava trapelare, attraverso un stravagante momento di ricreazione (la gallina decapitata) che sarà l'innesco poi a quella concatenazione di eventi di ordinaria quotidianità, tratteggianti un immaginario agreste a suo modo tipico dove l'elemento esterno, sia esso fonte di disgregazione o meno, finisce comunque per diventare un ingranaggio all'interno del trasgressivo meccanismo. E alla fine, qualunque sia l'evolversi, perfettamente funzionale al gioco.

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