26.12.15

Symptoma (Symptom)

Angelos Frantzis
Grecia, 2015
84 minuti

«Symptoma parla dei nostri demoni interiori. Il film si immerge nell’inconscio di una donna, solo per rivelare il sintomo dell’eterna lotta tra istinto e morale... Ho avuto l'idea alla base di Symptoma ripensando ad alcuni sogni che ho fatto, sui quali mi sono interrogato nel tentativo di dare loro una spiegazione. Al centro della sceneggiatura, vi è il tentativo di spiegare ciò che noi consideriamo essere il diavolo». - Angelos Frantzis


Come recita un noto film di Bresson: "Il diavolo, probabilmente..." (lasciamo un pò di spazio anche a lui, in queste festività, altrimenti potrebbe impermalirsi). Perchè nell'ultimo, immaginoso lavoro di Angelos Frantzis, il diavolo sembra averci messo proprio il cosiddetto piede caprino. Cinque anni dopo Mesa sto dasos (In the Woods), il cui bosco appariva già come un ricettacolo di accadimenti dalle esalazioni sinistre, il regista greco affina lo stile intrapreso (una più accurata pulizia e precisione dell'immagine, simmetria delle inquadrature, nonchè un accentuato cupismo e minimalismo di fondo) e torna al TFF con un'altra storia dai risvolti arcani, a metà strada tra melodramma e mystery; un'opera a suo modo surreale e metafisica che si configura come un'allegoria sulla patita opposizione agli impulsi irrazionali che dominano i nostri pensieri più reconditi. Sintomi, come da titolo, che agiscono a livello prettamente inconscio ed individuale, e che nel determinato contesto (Frantzis parla di sogni, quindi l'onirico, è il campo sul quale ci si addentra), solo in parte possono richiamare la solita condizione socio-economica vissuta dalla Grecia negli ultimi anni (esili tracce possono emergere nelle rappresaglie del popolo e nell'esibizione di uno scenario prossimo alla rovina ma, anche in tal caso, le cause paiono più affini a disastri di tipo ambientale). Oltremodo, è alquanto erroneo discorrere di presunti conigli assassini sui quali, peraltro, come dichiarato dall'autore*, cade qualsiasi ipotetica lettura. Tanto più, che ad esclusione del drammatico gesto compiuto dalla sorella della protagonista, Elektra (l'ormai onnipresente Katia Goulioni, gia interprete del precedente film di Frantzis nonchè, in queste pagine, vista in Arundel della connazionale Kotzamani) alla prevedibile scoperta del tradimento del marito (svelata nel fin troppo prolisso flashback temporale a metà film), di morti effettive non c'è ombra, fino all'epilogo rivelazione. Seguendo dunque il pensiero concettuale all'origine dell'opera, è certamente più adeguato parlare di conflitti interiori, e "demoni" della coscienza pronti a materializzarsi attraverso la mortificazione corporale. A tal seguito, l'enigmatica figura vestita di nero che si aggira con il volto coperto da una maschera dai tratti caprini per una remota e fatiscente isola (probabili Cicladi), dove la vegetazione pare essersi estinta lasciando spazio solamente a pietre, cemento e cumuli di pattume, solo in prima parvenza può raffigurarsi per ciò che vediamo, ovvero, una possibile minaccia per quella comunità che insorge sgomenta e, al contempo, sedotta a livello inconscio (come dimostrasi la sconcertante sequenza della donna che si denuda nel campo, circondata da un branco di ovini) dall'aura esoterica di tale figura. Poichè essa, simboleggia più metaforicamente la metà oscura che si annida nel profondo di ognuno di noi (ognuno di noi, ha i propri "demoni" da espellere; ogni membro della comunità quindi, può trovarsi dinnanzi al proprio "demone"); quell'inesplicabile e viscerale impulso faticosamente reprimibile, percepito come scorretto (se non lesivo nei confronti degli altri), ma che nonostante la consapevolezza del danno, è pronto a manifestarsi inaspettatamente.


Nel vivo della questione, il tradimento di Elektra a scapito della sorella (il cui legame è intuito come profondamente intenso, a tratti addirittura equivoco), e i derivanti sensi di colpa, che conducono la protagonista ad attivarsi in una serie di pratiche autopunitive ed inflizioni corporali volte ad espiarli, allo stesso modo di una sofferta via crucis (come le scalate su invalicabili pendii di cemento, o la flagellazione della carne - Marina Abramovich, è oltremodo citata da Frantzis), per finire con l'involvere in autentiche crisi di spersonalizzazione che però, nella loro magnetica messa in scena, costituiscono a opinabile parere i momenti più suggestivi del film (tra l'altro, avvalsi da un connubio sonoro di estrema efficacia nel suo ipnotico ed interrotto incedere). Quindi, nonostante i molteplici nodi irrisolti (e probabilmente irrisolvibili), la ragazza finisce comunque per trasformarsi nella figura più analiticamente interessante, per quell'ambiguità che si porta appresso, e che sembra suggerire un legame simbiotico con la misteriosa figura. Tant'è, che è proprio a culmine di una delle sequenze più destabilizzanti (la protagonista, con le mani stillanti sangue, che si aggira come un'invasata in preda a sintomi convulsivi nel centro di una strada deserta), che l'eterno conflitto tra etica e morale viene magnificato, e la susseguente e compiuta catarsi, sembra già qui, in questi fotogrammi, trascendere quella pura condizione d'interiorità per tentare di divenire inquietantemente altro; assumere forma, materia, corpo. Come la sanguificazione nell'ultimo film di Petrus Cariry (Clarisse or Something About Us) ad esempio, o in ultima osservazione, il più attinente materializzarsi di una follia di zulawskiana memoria** idonea a penetrare d'impatto nell'immaginario di suddetta sequenza, lasciandone affiorare gli indelebili segni. E se nel capolavoro del regista polacco, Isabelle Adjani sostentava il male da lei stessa generato nell'appartamento di Sebastian Sraβe, qui, allo stesso modo, Elektra si fa custode delle proprie reità nell'umido antro di una caverna... Finchè, chi non ha colpe, si accinga a scagliare la prima pietra.

*«In realtà, i personaggi misteriosi non indossano maschere da coniglio ma bensì maschere da capre e, se devo essere sincero, per quanto apprezzi molto Lynch, devo ammettere che ci siamo rivolti ad un immaginario diverso». - Angelos Frantzis

** Possession (1981) di Andrzej Zulawski


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