13.4.16

No Home Movie

Chantal Akerman
Belgio, Francia, 2015
112 minuti

Revisionando l'intimistico e toccante No Home Movie, a distanza di mesi dalla prima in quel di Locarno, appare quantomai evidente come tutto quel che vediamo (specie oltre le mura domestiche o, più indicativamente, oltre l'ordinario colloquiare tra Chantal Akerman e sua madre) rifletta in maniera emblematica gli stati d'animo della compianta cineasta belga in quei determinati (e determinanti) momenti della propria vita, che precedettero la perdita della madre.
A cominciare dalle due, indicative sequenza iniziali (l'albero adusto sferzato da un vento implacabile; l'anziano sulla panchina di un prato soleggiato e rigoglioso) leggibili come metafore del travaglio terreno e del suo possibile e successivo acquietarsi, raggiunto al termine della nostra esistenza. Per proseguire con le immagini di quel deserto simbolo del viaggio e delle distanze (non solo geografiche) che Akerman cercava di restringere, di annullare tramite le incessanti registrazioni e l'interazione tecnologica. Interminate distese dapprima filmate in corsa, con movimento regolare, che si ripresentano poi attraverso un moto decisamente più tellurico (deliberato dalla riduzione di una distanza focale che automaticamente ne provoca l'instabilità mediante sobbalzi, imprecisione della messa a fuoco, variabilità d'esposizione) e il cui inserimento finisce per coincidere proprio in quella seconda ora di film, intenta ad accentuare l'ineluttabile processo del declino fisico attraverso un peggioramento delle condizioni di salute della madre, valorizzando figurativamente l'intima preoccupazione della regista. Fino a che, a pochi minuti dall'epilogo, anche l'immagine di quella landa incolta perde ogni mobilità (vitalità), venendoci essa svelata in una fissità silenziosa atta a configurarsi quasi come un presagio doppiamente inquietante, se pensiamo oltretutto al tragico destino che di lì a poco colpirà la stessa Akerman. Ovviamente, lungi da qualsiasi ipotetica formulazione sui motivi che hanno portato la cineasta al compimento del suo gesto estremo, ma resta alquanto percepibile (anche dalla sua ultima presenza a Locarno) l'afflizione che certamente si portava dentro. Fattore che emerge chiaramente nel film, a tal modo di un legame materno profondissimo ed influente, tanto da addurre la regista alla consueta e dilatata scansione di ogni spazio, vuoto, possibile (anche in un finale che ricorda l'hanekeiano Amour), che formalmente rinverdisce i fasti migliori della sua carriera (Hotel Monterey; Jeanne Dielman) ma che stavolta, pare contemplato quasi sotto un influsso precognitivo. Poichè l'ombra/presenza/figura di Akerman traspare e si riflette, continuamente, operando un trasfondimento della propria immagine da un campo visivo all'altro, come spinta dalla necessità di dover imprimersi per l'ultima volta, trasferendo l'arte di una vita in modo risolutivo, in quello che oramai, sfortunatamente, possiamo considerare a tutti gli effetti, il suo testamento filmico. Immenso!

2 commenti:

  1. Una volta finita quella proiezione ho sentito come la necessità di scriverne, di ringraziarla in qualche modo per il suo gesto e per quello che mi aveva fatto provare. Leggendo le tue parole si evince un sentimento molto forte, come se anche tu avessi provato qualcosa di simile. Beh, sei riuscito perfettamente a rendere onore al film ed a concretizzare l'esperienza della visione, ciò che non si poteva concretizzare :).

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    1. Naturalmente Stefano, quella prima visione ha scaturito sensazioni molto forti. Una sintonia immediata con il film che mi ha permesso di coglierne segnali intensi (a iniziare dalla prima, indimenticabile scena, della quale commentai subito con tuo fratello). Emozioni che questa revisione, assolutamente necessaria, ha oltretutto enfatizzato in modo influente e decisivo per altre riflessioni. È indubbio che la Akerman mi ha lasciato davvero molto, tanto da sentire anche di riconoscermi, seppur nel mio piccolo, in molti aspetti della sua creatività e del suo operato. Per me rimarrà sempre un punto di riferimento essenziale, qualcosa d'incrollabile, come quell'albero che resiste alle interperie a inizio film.

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